PERCHE' NON AMO LA "RESILIENZA"

L’origine del termine “resilienza” ha a che fare con i metalli, con la capacità di assorbire un impatto e tornare alla forma originale.

In molti contesti ho trovato questo termine per indicare la capacità di una persona di resistere alle avversità, di rimanere in piedi e tornare alla condizione di benessere iniziale.

Le parole hanno un senso, un potere, sono energeticamente vive.

PERCHE’ NON AMO LA “RESILIENZA”

Crescere non significa restare sempre “in piedi”, ma permettersi di cadere, di lasciarsi attraversare dal dolore, di accettare il movimento discendente tanto quanto quello di risalita.

  • Nella natura tutto cade: i frutti, le foglie, persino le stelle.

  • La caduta è un ciclo, un ritmo vitale.

Quando ci concediamo di cadere, senza vergogna, entriamo in contatto con una forza più autentica e fluida. Non c’è rigidità, c’è movimento.

La resilienza, intesa come “resistere e ritornare”, può essere utile in un contesto di emergenza:

ti aiuta a non soccombere, ma se diventa il modello dominante, rischia di produrre:

  • Rigidità: stare dritti a tutti i costi.

  • Controllo: non concedersi fragilità.

  • Negazione: considerare la caduta come un fallimento.

Un essere umano che evolve non torna “come prima”, ma abbraccia la caduta come inizio di un nuovo ciclo. La vera forza non è stare sempre in piedi, ma permettersi di cadere, rialzarsi in una forma nuova.

Così, l’adattarsi ad una situazione difficile, non significa arrendersi, ma viverla appieno per comprenderne l’insegnamento e crescere in esperienza, per poter cambiare direzione con consapevolezza e nuovo slancio, arricchiti dalla caduta.